E se il calcestruzzo si riparasse da solo?

Chi bazzica un po’ il mondo dell’ingegneria civile conosce bene il calcestruzzo: uno dei materiali da costruzione più usati grazie alla sua versatilità e resistenza a compressione e buona compatibilità con l’acciaio per rispondere bene anche a flessione.

Tuttavia la sua forza è anche la sua debolezza, la sua scarsa resistenza a trazione lo porta a produrre delle fessurazioni che col tempo rischiano di compromettere la passivazione dell’acciaio causandone l’ossidazione. Oggi siamo quindi obbligati a costanti e continue operazioni di manutenzione (anche se troppo spesso vengono trascurate…)
Ma se il calcestruzzo riparasse da solo?

Una certa proprietà intrinseca di autoriparazione del calcestruzzo è ben nota ed è dovuta principalmente all’idratazione del cemento non completamente idratato durante la fase di messa in opera resa possibile grazie alla percolazione dell’ acqua all’interno della fessura.
Questo meccanismo funziona unicamente su fessure molto strette e per sfruttare questa proprietà spesso si è pensato di aggiungere all’impasto delle fibre sintetiche per il contenimento delle fessure garantendo l’idratazione mediante polimeri super-assorbenti in grado di immagazzinare acqua durante i periodo più umidi per rilasciarla gradualmente in quelli più secchi.

Un’alternativa a quanto detto è fornita dai “Bioconcrete“. Lo scopo è quello di produrre calcare biologicamente sfruttando dei batteri contenuti in delle capsule inserite in fase di realizzazione dell’impasto.
I batteri del genere Bacillus si attivano in presenza di acqua e utilizzano il lattato di calcio, la sostanza nutritiva solubile presente nelle capsule, convertendolo in calcare insolubile che sigilla la fessura.
Alla fine della reazione i batteri rilasciano un enzima, noto come ureasi, che reagisce con l’acqua producendo anidride carbonica e ammoniaca, ques’ultima aumenta il pH del sistema inducendo la precipitazione del minerale di carbonato di calcio.
All’interno delle capsule i batteri sono inseriti in idrogel o argilla espansa per fornire loro protezione e sostentamento.
I giusti batteri, coltivanti in un acqua che verrà poi utilizzata per l’impasto, possono sopravvivere per circa 200 anni in condizioni secche resistendo agli ambienti fortemente alcalini del calcestruzzo.
Un terzo processo, detto approccio chimico, consiste nell’incorporare il materiale riempitivo nella matrice mediante rete vascolare o capsule.
L’utilizzo della rete vascolare, possibile in laboratorio ma di difficile esecuzione nella pratica, consiste nell’installare una rete di tubi all’interno dell’calcestruzzo in modo che durante la formazione della frattura il tubo, danneggiandosi, faccia uscire la sostanza riempitiva, ricalcando in un certo senso il funzionamento del corpo umano. E’ possibile avere un sistema mono-canale nel caso si usi un solo agente chimico, o multicanale nel caso se ne usino due anche se va osservato che questo metodo non è propriamente un’auto-guarigione del conglomerato cementizio in quanto questa procedura richiede un intervento esterno.
Riparazione con sistema vascolare multi-canale
Riparazione con sistema vascolare multi-canale
Un metodo più pratico è quello di inserire gli agenti chimici in delle capsule che si rompono durante il propagarsi della frattura riempiendola con il loro contenuto. E’ importante che la capsula non si danneggi durante la fasi di lavorazione ma solo quando viene investita dalla cricca, per questo la parete non dev’essere né troppo sottile né troppo spessa.
 rottura di una capsula ad opera dell'espansione di una cricca
rottura di una capsula ad opera dell’espansione di una cricca
Per quanto riguarda i costi sappiamo che per essere sostenibili dovrebbero consentire le applicazioni quotidiane.
L’incapsulamento di batteri utilizzando l’idrogel in un ambiente completamente sterile aumenterebbe di molto il costo del calcestruzzo, anche se si potrebbe ridurre lavorando in un ambiente meno controllato, riducendo un po’ la qualità della procedura. L’incapsulamento in argilla dovrebbe essere più sostenibile con un amento del costo per metro cubo di 1,5 volte.
I ricercatori fanno però osservare che l’incapsulamento con idrogel potrebbe tuttavia essere sostenibile in quei casi dove una fessura della struttura possa causare danni irreparabili o di entità economica molto rilevante, come ad esempio per il danneggiamento di opere d’arte, inoltre il costo di questa tecnologia è destinato a calare mentre la vita della struttura tenderebbe ad allungarsi; secondo Jonkers se si riuscisse ad estendere la vita del calcestruzzo del 30% il reale costo di questa tecnologia nel lungo termine sarebbe decisamente minore.

Fonti:
A Review on Self Healing Concrete
Mukunda Madhab Borah and Dr.(Mrs) Nayanmoni Chetia
Dadi Institute of Engineering and Technology (DIET), Visakhapatnam, Andhra Pradesh, India.
http://icamt2016.org/papers/MT0222.pdf
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